Un po’ lanterna, un po’ lampada di Aladino, Nur è una scatola della memoria.
Soggettiva e personale, la memoria di Mad is dead (Dino Lorusso) amplia il suo spettro d’azione fornendo stimoli percepivi che ogni spettatore può intercettare inseguendo i ricami di luce ed ombra.
Un filtro, quindi - questo è anche Nur - che mette in relazione ciò che appartiene alla sfera privata con quella pubblica, l’individuo e la collettività. Così come lo sono le “mashrabiye”, elementi architettonici delle abitazioni nordafricane e mediorientali che creano uno schermo che protegge dal sole, dal caldo, dagli sguardi indiscreti, fonte d’ispirazione per il designer nell’ideazione, progettazione e realizzazione della lampada.
Lo sguardo dell’autore, infatti, colleziona (e poi archivia) attraverso il mezzo fotografico numerose “mashrabiye” viste soprattutto nei quartieri più antichi di Cairo e Baghdad, oltre che in Giordania, Libano, Yemen, Emirati Arabi, Iran, Marocco e Tunisia.
Fotografia, architettura e design: tre linguaggi che si compenetrano nell’approfondimento di una ricerca focalizzata sul mondo arabo e sulla sua cultura millenaria.
Tradurre anche emotivamente atmosfere e suggestioni stratificati nella densità dei ricordi è l’obiettivo a cui aspira Mad is dead quando concepisce la sua “scatola magica”.
Il cubo di metallo ha sei pareti intagliate con il laser, ognuna delle quali ha la propria decorazione ornamentale. Il pattern è un disegno reiterato che proviene dalla “collezione” dell’autore. Un frammento che, quindi, viaggia da una dimensione spaziale all’altra.
Gli intrecci geometrici si sdoppiano nella proiezione che amplifica le immagini delle forme incise dal laser che si espandono tutt’intorno: hanno una valenza evocativa e poetica, mai simbolica.
Come scrive il poeta siriano Nizar Qabbani (1923-1998): “La luce è più importante della lanterna, /
la poesia più importante del taccuino, / e il bacio più importante delle labbra.”